Condividiamo alcune riflessioni sul Vangelo di questa domenica. Il primo spunto di riflessione parte dalla Parola del Vangelo, quel “porgi l’altra guancia”…cosa può significare per noi? cosa può significare per la nostra vita?
E a seguire, uno spunto dalla prima lettura, dalla Parola del Levitico. Cos’è per noi la santità? che peso ha questa parola, questo concetto, questa tensione, nella nostra vita?
” Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra “
Cristo è degli uomini liberi, padroni delle proprie scelte anche davanti al male, capaci di disinnescare la spirale della vendetta e di inventarsi qualcosa, un gesto, una parola, che faccia saltare i piani e che disarmi. Così semplice il suo modo di amare e così rischioso. E tuttavia il cristianesimo non è una religione di battuti e sottomessi, di umiliati che non reagiscono. Come non lo era Gesù che, colpito, reagisce chiedendo ragione dello schiaffo (Gv 18,22). E lo vediamo indignarsi, e quante volte, per un’ingiustizia, per un bambino scacciato, per il tempio fatto mercato, per il cuore di pietra dei pii e dei devoti. E collocarsi dentro la tradizione profetica dell’ira sacra. Non passività, non sottomissione debole, quello che Gesù propone è una presa di posizione coraggiosa: tu porgi, fai tu il primo passo, cercando spiegazioni, disarmando la vendetta, ricominciando, rammendando tenacemente il tessuto continuamente lacerato dalla violenza. Credendo all’incredibile: amate i vostri nemici. Gesù intende eliminare il concetto stesso di nemico. «Amatevi, altrimenti vi distruggerete. È tutto qui il Vangelo» (D.M. Turoldo).
(padre Ermes Ronchi)
“Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo.” (Levitico 19)
La santità è davvero cosa poca, feriale, umile, che non può far paura. Quasi un consiglio mite, sussurrato, per non rovinarla questa miracolosa esperienza, questo respiro di respiri che ci rende fratelli, che chiamiamo vita.
Cosa poca la santità, come quando smetti di covare odio perché non ne puoi più di quello che stai diventando e allora inizi a scaldare nidi di compassione, a inventare gusci di custodia dell’umano, a riscaldare la vita altrui perché non si sciupi.
È cosa poca la santità, è piccola, a raccontarla fai presto e fai presto anche a perderla. Bisogna tenerla allenata, perché la santità non è altro che la libertà. Come quando decidi di non opporre male al male ma lasci andare, porgi la guancia per mostrare che dalle tue mani non uscirà vendetta. Non perché sei buono ma perché sai che il male si nutre anche della violenza della vittima, perché se attacchi diventi complice. Perché all’urto della violenza puoi opporre un muro oppure uno spazio vuoto, un respiro, per lasciare che la rabbia si lasci accompagnare fino a possibile esaurimento. E quando, dopo essersi trasformata in lacrime, ti scoprirà ancora al suo fianco (dopo tratti di strada condivisi e debiti condonati) forse in quel momento sentirete l’intonazione della vita che ricomincia. Quella sì. si può chiamare santità.